Scheda tecnica
Autore: Pino Navedoro
Titolo: Maria Farrar
Anno: 2012
Tecnica: Olio su tela
Dimensioni: cm. 150 x 70
L’opera
Attraverso il riferimento (anche per l’assonanza del nome proprio) a un topos della cultura figurativa della Chiesa di Roma come quello della “Madonna con il Bambino”, l’infanticida Maria Farrar di Bertolt Brecht si trasforma in un personaggio esemplare per la sua dissonante ambiguità. L’aberrante gesto che si mostra a prima vista non può generare morte perché viene riservato a un manichino; questo, a sua volta (nel suo apparente stato di vita) non può essere stato generato da chi, in realtà, non possiede nemmeno un vero e proprio sesso, pur nell’illusorietà di una perversa nudità associata ai simboli più comuni di santità cristiana.
Chi non vuole o non può dar vita, tuttavia, vorrebbe o potrebbe dare amore; lo dicono le lacrime sulle labbra insanguinate della donna e il nome della “Città Eterna” (inciso sul piatto-aureola in penombra) che, letto al contrario, si pronuncia “AMOR”. L’archetipico e ossimorico rapporto eros-thanatos, infine, è indagato con gli strumenti della pittura tradizionale, in una riflessione sulle esperienze della Roma della fine degli anni Venti del Novecento, ben evocate da Giulio Carlo Argan, quando scrive a proposito della Scuola Romana e di Scipione: «Il fondo culturale è l’espressionismo strisciante […]. Scipione è anche sensibile all’incipiente rivalutazione dell’arte barocca per merito principalmente di R. Longhi: è un argomento contro la rettorica classicista ma anche, ed è più importante, contro la classicità ideale dell’estetica crociana. Nei pochi anni della sua attività, Scipione ha un modello, il Greco, ed una cupa ossessione, Roma. Adora ed oltraggia la Roma vera, cattolica e barocca, devota e peccatrice, splendida e in rovina […]: Roma è il complesso di colpa su cui si è costruita la babele di una Europa ipocrita e reazionaria ormai minata da un’antica decadenza, sul punto di crollare. Senza saperlo Scipione ha scoperto il pessimismo esistenzialista: la sua è la pittura della malattia mortale, dell’angoscia e della disperazione».
L’artista
Pino Navedoro è nato a Gravina in Puglia, in provincia di Bari, nel 1973.
Ha presto abbandonato la precoce passione per i colori, incoraggiata dalla presenza in famiglia del nonno pittore, e si è dedicato agli studi classici che lo hanno portato alla laurea, presso l’Università degli Studi di Firenze, in Lettere Moderne con indirizzo Storico-Artistico. Ha pubblicato diversi scritti, tra cui “Le chiese rupestri di Gravina in Puglia. Considerazioni preliminari su alcuni ambienti conosciuti o ancora inediti”, presentazione di Cosimo Damiano Fonseca (2006); “Gravina in Puglia. La guida della città e dintorni” (2006); “Giovanna Frangipane Della Tolfa. Da Madre di Papa Benedetto XIII a Suora di clausura” (2006).
È tornato alla pittura, con alterne vicende, sul finire del 2008. Nel 2011 ha cominciato a frequentare il mondo delle mostre con la partecipazione alla 54ª Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, Padiglione Puglia, presso il Complesso di Santa Scolastica a Bari.